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Campioni si diventa

L'abbiamo persa noi?

Giovedì, 26 Settembre 2019

Siamo allo sprint finale del campionato italiano, io gioco con i colori della squadra campione d’Italia in carica, ancora in quel momento la squadra dichiaratamente più forte del campionato. 
Il tecnico è francese, e dopo una prima parte di stagione, dove ha imparato a conoscerci e osservarci, ha optato per proporci un gioco ben definito, caratterizzato di strategie efficaci che ai giocatori, però, forse lasciava poco spazio alla fantasia. 
Da li i risultati sul campo erano evidenti, e l’efficacia organizzativa, tecnica e caratteriale non lasciava spazio all’immaginazione. 
Ma ricordate, il poker emotivo è sempre in agguato! Giudizio, lamentela, accusa e pretesa vanno sempre a braccetto, e non mancano mai di sorprenderci! E dunque, il campionato va avanti così come lo volevamo: una vittoria dopo l’altra, con una strategia di gioco che sembrava essere efficace, sebbene poco fantasiosa. 
Intanto le critiche, seppur sterili e superficiali, non tardano a farsi sentire dal pubblico e dai più affezionati: “La nostra squadra ha sempre fatto un gioco elettrizzante, la palla è sempre passata tra le mani di tutti i giocatori in campo in ogni azione…cos’è questo gioco!”. 
Questo soffio ribelle contagia e prende forma tra gli atleti della squadra, che sembrano essere meno coinvolti dal tecnico nelle competizioni, e si sentono di sfogare la loro frustrazione cercando consenso tra i più. 
Per quanto ridotta, questa polemica non viene stroncata sul nascere da staff e dirigenti, solo per moderare le incomprensioni e cominciare a rinegoziare le relazioni interne che, nel frattempo, si sono alterate. 
Questo non ci aiuta a superare il momento difficile. 
In breve tempo, la tendenza diventa quella dei gruppetti che hanno come scopo il continuo darsi ragione, e trovare comprensione nella sensazione di frustrazione individuale. 
Come squadra abbiamo smarrito l’orientamento all’obiettivo comune. Certo, tutti vogliamo vincere il campionato, tutti vogliamo uscire vincitori da ogni partita, ma rispetto all’inizio, alcuni non si sentono più parte della squadra. 
Tantissimi di voi avranno già avuto esperienze sportive in cui la motivazione personale sia andata di pari passo con l’empatia, e con una relazione sana con gli altri componenti della squadra. 
Noi non eravamo più allineati, coesistevano presupposti differenti, e la conseguenza era di non essere più disponibili a mettere le proprie risorse per gli altri ma, piuttosto, a porre in primo piano i propri bisogni. 
I punti accumulati durante la stagione ci mantenevano comunque in testa alla classifica, e le vittorie non mancavano, sebbene la brillantezza del gioco collettivo e la sua fluidità venissero sempre meno nell’avvicinarsi alle fasi finali. 
Io ed altri compagni ci eravamo accorti che qualcosa aveva smesso di funzionare, e nonostante la preoccupazione, eravamo più concentrati nel provare a fare qualcosa in campo attraverso le nostre azioni e facendoci trovare sempre preparati, piuttosto che agire al di fuori di tutto ciò, alla fonte del problema, alla base delle incomprensioni, nelle relazioni che ci avevano portato ad essere una squadra, e che da un po’ di tempo non erano più le stesse. 
Arrivò il giorno della semifinale, un appuntamento importante che per esperienza avevamo imparato a trattare come qualcosa di ordinariamente speciale. 
Ma un evento tale andava preparato a fondo, non solo nell’approccio al match, ma anche nella preparazione maturata durante la stagione, nel percorso che ci aveva accompagnato fino a quel giorno.
Ebbene, quella volta ci siamo sbagliati.
Abbiamo giocato fino all’ultimo secondo. L’aggressività avversaria ci ha messo in difficoltà, cosa che normalmente non succedeva, e gli effetti del nostro gioco non erano quelli che avevamo pianificato.
Nello svolgersi della partita faticavamo a comprendere come ciò che avevamo pensato di aver preparato con tanta attenzione, di fatto non riuscisse, e come la nostra capacità di risoluzione delle situazioni di gioco problematiche stentasse ad entrare in azione.
Abbiamo perso la partita, con grande frustrazione da parte di tutti.
La sana comunicazione, la fiducia in se stessi e nelle persone che si hanno attorno, la capacità di osservare ciò che accade, di ascoltare il prossimo, sono alcuni dei presupposti fondamentali per costruire e nutrire il sentimento di squadra.

Mauro Bergamasco

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